Monsters in Sin City

Questi cultisti hanno nascosto gli elementi del loro rituale in questo strano casinò. Non sappiamo se gli avventori facciano parte del rito o siano stati inseriti per distrarci dai mostri imponenti, ma è chiaro che il gioco d'azzardo è un incantesimo colossale. Dobbiamo vincere al casinò per interrompere il rituale.

Michel

3/13/2025

Cthulhu
Cthulhu

La pioggia scrosciava sull’asfalto lucido di Arkham. Le insegne al neon del casinò Lucky Lady tremolavano nel buio della notte, proiettando ombre sinistre sulle facciate dei palazzi. Fumai l’ultima sigaretta prima di entrare. Sapevo che la notte sarebbe stata lunga. E letale.

Eravamo in tre: Mary Diaz, dal Venezuela, il cui motto “don’t worry about me, it’s just a flesh wound” e il cuore generoso sfidavano le tenebre di un passato segnato dalla discendenza di cultisti; Father Luke, dall’Irlanda, pastore di Lismore con il motto “Vengeance belongs to the lord, lad, let me show you”, che aveva notato inquietanti spostamenti occulti nella sua comunità; e Lord Adam Benchley, dall’Inghilterra, dal motto “shoot first, never ask”, un uomo dalla calma apparente la cui determinazione letale celava tendenze psicotiche. Investigatori, dicevano. Io li chiamavo esploratori del delirio.

Monsters in Sin City: questi cultisti avevano nascosto gli elementi del loro rituale in questo strano casinò. Non sapevamo se gli avventori fossero complici o semplici pedine, ma sapevamo che il gioco d’azzardo era un incantesimo gigantesco, e dovevamo vincere per interromperlo. Sei token della Lucky Lady: la chiave per spezzare il maledetto sortilegio.

Il casinò era un labirinto di luci soffuse, risate artificiali e sussurri inquietanti. Dietro ogni tavolo da gioco si celava una minaccia. I croupier? Probabilmente cultisti sotto mentite spoglie. I giocatori? Ombre con mani troppo fredde e sguardi assenti. E poi c’erano loro… gli evocati. Si muovevano ai margini della percezione, pronti a emergere al momento opportuno. Tra loro, il pezzo grosso: una creatura colossale, un verme dalle fauci foderate di rasoi, qualcosa che avrebbe fatto impallidire i Tremors di un horror anni ‘90.

La partita si fece dura. Il mazzo era truccato, i dadi pesanti come piombo nelle mani sudate. Ma tra bluff, scommesse e qualche colpo di fortuna, ce la facemmo. Sei token. Fine del gioco. O almeno così pensavamo.

L’aria si fece densa. Un ruggito squarciò il chiacchiericcio della sala. Il rituale era infranto, ma Hastur, l’Elder One, era già lì, strisciato fuori da un angolo dimenticato del cosmo. E non era contento.

elder_one
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Monsters_cultist
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adam_cthulhu
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cthulhu-dmd
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Gli spari rimbombarono nel salone. Le carte da gioco volavano come foglie al vento mentre i miei compagni cadevano uno a uno: uno divorato da un’ombra senza volto, l’altro strappato via da tentacoli che non avrebbero mai dovuto esistere. Rimasi solo, circondato da orrori presi in prestito dai sogni più oscuri di Lovecraft.

Un’ultima chance. Una sola pallottola. Presi la mira, il cuore che batteva come il tamburo di un rito proibito. Premetti il grilletto.

Silenzio.

Hastur si contorse, emettendo un suono che non apparteneva a questo mondo. Poi sparì. Con lui, tutti i suoi seguaci. Il casinò tornò a essere solo un luogo di perdizione per anime inquiete. Come se nulla fosse mai accaduto.

Uscendo, accesi un’altra sigaretta. La pioggia continuava a cadere. Nessuno avrebbe mai saputo cosa era successo tra quei tavoli verdi. Nessuno, tranne me. E, francamente, non ero sicuro di volerlo ricordare.