Call of Cthulhu (RPG) - The Boston Chronicle

Una primissima narrazione dell’avventura del GDR di sabato al Grisù - Parte 1

SESSIONE DI GIOCO

Michel

3/26/20254 min read

The Boston Chronicle

Boston, 1929. Il capo di una testata giornalistica e il suo team vengono contattati da un certo signor Nicolson, un rinomato e ricco cittadino. L'incontro avviene nella sua affascinante dimora per una questione molto personale. Suo figlio sarebbe scomparso nella lontana cittadina di Livinston. Il figlio sedicenne era partito per farsi le ossa ed esperienza su imbarcazioni da pescatore, ma a quanto pare un giorno non è rientrato con la ciurma.

Riuniti nel salotto del signor Nicolson, alla troupe viene finalmente presentata la donna che sedeva accanto a lui: Artemis, un'affascinante sensitiva, la quale sostiene che il figlio sia ancora vivo. Vengono offerti cinquantamila dollari se risolvono il caso. La troupe accetta di buon grado l'incarico. Dunque il loro viaggio sarà spesato e riceveranno 2.000 dollari per imprevisti.

La squadra è composta dal principale dell'azienda, un giovane impresario emigrato dall'Italia di nome Francesco; Jinx, un'intrepida fotografa; Ariel, una cineasta con la passione per il teatro; Derek, un veterano e medico di guerra; Ikaro, un factotum, personaggio utile ma misterioso. E infine io: Aramon, la guardia del corpo assunta per proteggere l'equipe. L'unica condizione imposta dal signor Nicolson fu che Artemis dovesse venire con noi. Bastò uno sguardo tra noi tutti per trovarci d'accordo nell'affrontare quest'impresa.

Congedati dal padrone di casa, ognuno di noi si preparò per il viaggio, raccogliendo ciò che serviva, per poi ritrovarci tutti e affrontare un viaggio di oltre due ore con un pulmino fino a Livinston.

Erano circa le 16:00 quando raggiungemmo la cittadina. Nonostante ci fosse ancora molta luce e il tempo fosse sereno, una nebbiolina verdastra aleggiava con banchi sparsi nei dintorni.

L'autista si fermò, come ordinato dal signor Nicolson, davanti all'hotel "Stella Marina". Appena scesi dall'autoveicolo, fummo investiti da un tanfo di pesce. Cercammo di entrare velocemente all'interno per riprendere fiato, ma fu vano: l'odore era ancora più intenso e nauseabondo.

In gruppo ci recammo presso il concierge della hall dell'albergo, il quale... sì, ci ricevette, ma non con grande cordialità. Appena sollevò lo sguardo da un foglio che stava scarabocchiando con disegni che ricordavano un ornamento greco, Francesco prese la parola e ci presentò.

«Buonasera, siamo un'equipe di una testata giornalistica di Boston, il "The Boston Chronicle". Siamo giunti fin qui per investigare sulla scomparsa del figlio del signor Nicolson e vorremmo...».

Il concierge lo interruppe con un grugnito e, con sguardo attonito, si rivolse a lui.

«Ah sì, siete voi. Attendevamo il vostro arrivo, un gruppo di forestieri pronti a ficcanasare e disturbare la quiete di questa piccola cittadina, come se l'evento accaduto la settimana scorsa non avesse già scosso abbastanza i poveri cittadini, come le famiglie dei quattro ragazzi scomparsi!».

A quelle parole Francesco si girò verso il suo gruppo e tutti ci guardammo tra noi.

«Quattro ragazzi scomparsi?»

«Sì, certo, Tommy non è l'unico ragazzo scomparso. I gemelli e Jason non si trovano più!».

Mentre gli scarabocchi dell'uomo dietro il banco dell'albergo fuoriuscivano dal foglio imbrattando il tavolo, il miasma di pesce si insinuava in profondità nei nostri polmoni. La vecchia moquette che ricopriva i pavimenti era in perfetta armonia con la carta da parati scolorita e ingiallita dal tempo, dall'aria salmastra e dalla nicotina. Oltre a noi sembrava non esserci nessun altro in giro. Una flebile luce illuminava le scale che portavano ai piani superiori, mentre un'altra era posizionata sopra una grande porta rossa a doppia mandata.

«Ecco le vostre chiavi, signori. Troverete i vostri alloggi al primo piano, dalla camera 101 alla 107 potrete sistemare i vostri bagagli».

Prima di salire rivolgemmo qualche domanda al concierge per capire se sapesse qualcosa riguardo alla sparizione di Tommy. Disse che i marinai che erano con lui non lo avevano più trovato a bordo dopo aver attraversato un banco di nebbia al rientro della pesca mattutina, dandolo per disperso in mare.

La fotografa, mentre Francesco era occupato con le prime indagini, con discrezione decise di fotografare i disegni appartenenti a quello strano ometto, che non smetteva di borbottare. Quando gli chiedemmo anche degli altri ragazzi, aggiunse un commento personale: secondo lui, quei ragazzacci si erano ubriacati di nascosto, mettendosi così nei pasticci da soli!

Appena ci avviammo, proposi subito ad Artemis di aiutarla coi bagagli, ma lei mi mostrò la sua piccola ed unica borsetta e si avviò per le scale.

«Mi raccomando, prendete le vostre stanze al primo piano, in fondo al corridoio».

Il concierge lanciò un'occhiata di sbieco ad Artemis, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, il suo sguardo enigmatico perso nei dettagli del luogo.

Francesco afferrò le chiavi e, senza aggiungere altro, fece cenno al gruppo di seguirlo. Mentre ci incamminavamo verso le scale, il pavimento scricchiolava sotto i nostri passi, come se protestasse per la nostra presenza. Il tanfo era ancora opprimente, come se il mare stesso si fosse insinuato tra quelle pareti, portando con sé qualcosa di marcescente e innaturale.

Jinx si fermò per scattare una foto alla hall, ma il concierge batté un pugno sul bancone.

«Niente foto! Non siamo uno zoo per turisti!» borbottò.

Jinx lo fulminò con lo sguardo, ma abbassò la macchina fotografica senza discutere.

Una volta giunti nelle stanze, sistemammo le nostre cose con la sensazione persistente di essere osservati. Dalle finestre si vedeva il porto, avvolto dalla nebbia verdognola, e poche luci tremolanti sulle imbarcazioni ancorate.

Derek si sedette sul bordo del letto, massaggiandosi le tempie.

«Quattro ragazzi scomparsi... Questo cambia le cose. Non è più solo una questione privata per il signor Nicolson».

Artemis, che fino ad allora era rimasta in silenzio, finalmente parlò con voce calma, quasi ipnotica.

«C'è qualcosa qui. Qualcosa di antico... e in attesa».

Ci scambiammo sguardi inquieti. Il viaggio era appena iniziato, e già un'ombra sinistra sembrava avvolgerci.

Cosa facciamo ora?